Da fanatico di football americano quale sono, questa notte stavo perdendo ore di sonno per vedere i Bills a Cincinnati.
Ho avuto dunque la sventura di vivere in diretta l’angoscia per le sorti di Damar Hamlin, Safety dei Buffalo Bills, coinvolto in uno scontro di gioco che sta mettendo a rischio la vita stessa dell’atleta.
Uno scontro di gioco come se ne vedono tanti: il ricevitore (in questo caso l’ottimo Tee Higgins dei Bengals) abbassa la testa per rompere il placcaggio e Hamlin lo placca a braccia aperte usando il corpo per fermare l’inerzia.
Fine dell’azione, si rialzano tutti, ma Hamlin dopo un paio di passi stramazza a terra senza vita. E non è un modo dire: niente respirazione, niente battito. Ora si trova ricoverato all’ospedale di Cincinnati in condizioni gravi ma stabili, è intubato ma grazie al cielo le pulsazioni sono regolari.
Come sempre accade in Italia, c’è materia per fare i soliti articoli sensazionalistici sul football americano: sport violento, pericoloso e che manda i giocatori al massacro.
Ci riempiamo un po’ di pagine web e di carta, raccogliamo traffico e visibilità, che tanto non c’è nemmeno il campionato di calcio, e con un po’ di fango nel ventilatore abbiamo fatto la giornata. Cosa vuoi che ne sappia chi leggerà queste 30 righe zeppe di imprecisioni?
Alcuni medici americani, interpellati, hanno spiegato che si tratta di un evento casuale e rarissimo: per dirla da ignorante quale sono (quindi perdonatemi le inesattezze), un trauma nella zona toracica ha provocato una sorta di compressione al muscolo del cuore nell’istante “sbagliato” del ciclo cardiaco (centesimi di secondo) e ha così provocato fibrillazione e arresto. Una sorta di scarica a un cuore che stava marciando regolarmente.
Una circostanza imprevedibile e sfortunata che qualche anno fa provocò una morte in campo anche in Italia durante una partita di hockey (allora l’impatto fu contro una balaustra).
Purtroppo, già lo stiamo vedendo, sarà l’ennesimo pretesto per mettere alla berlina sport di altri paesi che ogni anno lavorano e si aggiornano (anche cambiando le regole) per elevare sempre più gli standard di sicurezza. E magari ci sentiremo fieri di non fare “quegli sport là” dai quali invece dovremmo imparare a tutti i livelli, dall’organizzazione, alla sicurezza, a valori di lealtà e rispetto.
E intanto, dal campo di calcetto alla gara di ciclismo, sono moltissimi gli atleti che qui da noi perdono la vita a ogni livello, agonistico o amatoriale.
Ora, se fossimo un paese con una cultura sportiva appena sufficiente, dovremmo leggere commenti di questo genere:
“Miracolo sul campo da football. Giocatore salvato dall’organizzazione medica della lega professionistica americana, che con un intervento immediato e le attrezzature adatte (massaggio cardiaco, defibrillatore, intubazione), salva la vita di un giovane difensore dei Buffalo Bills”.
Se fossimo un paese con una cultura sportiva appena sufficiente, da domani ne faremmo un caso da studiare sia per la dinamica dell’incidente, sia per l’organizzazione e le modalità dei soccorsi.
E invece state certi che lo stadio in silenzio per un’ora, con i tifosi delle due squadre abbracciati e i giocatori avversari in ginocchio a pregare insieme non diventeranno mai oggetto di un articolo.
Questo ci insegna il football e noi siamo orgogliosi di trasmettere questa cultura e questi valori ai nostri ragazzi (o almeno facciamo del nostro meglio).
Forza Damar!
(Stefano Fabbri)