Di seguito un bellissimo articolo tratto da repubblica.it e firmato Giovanni Marino con intervista al nostro James Dewar. Qui anche il link.
“Ho avuto la fortuna di assistere al clou dei Campionati europei del gruppo B. Parlo, ovviamente, di quel magnifico spot per il football che è stata la semifinale tra Italia e Gran Bretagna. Un match, per come si è snodato e per le emozioni che ha saputo regalare anche dopo la sua fine, che sarebbe stato difficile solo immaginare anche per uno scrittore o un regista specialisti nel genere.
L’abbraccio finale con cui uno stravolto coach Vince Argondizzo mi ha…placcato mentre lasciavo lo stadio ancora in festa, racchiude tutto il trasporto, la passione, l’impegno, il sacrificio e la volontà di un intero movimento.
Nonostante i media e in particolare i giornali di carta considerino il football americano meno di zero, in Italia esiste e si sta notevolmente ampliando una base di appassionati e tra questi non mi riferisco solo a chi segue il football ma anche a chi lo pratica e lo guida: giocatori, coaching staff, dirigenti. Appassionati anche loro, sì, perchè lo spirito che li guida è prima di tutto la passione. Il ritorno economico è pari a zero. Di visibilità, come detto, ne ha di più un calciatore non titolare di prima divisione che il giocatore numero uno del Blue Team. Passione, passione, passione, dunque.
Ma proprio gli Europei di Milano, quel fantastico Vigorelli tutto-football che traboccava di gente, impongono adesso un salto di qualità. Il successo del torneo continentale non va disperso. Come la passione, finalmente sbocciata, per il Blue Team. E’ un tesoretto da far fruttare.
“Playbook” apre un dibattito che riprenderà ogniqualvolta troverà l’interlocutore adatto. Un tema sul quale, come sempre, potrete pronunciarvi con i vostri post. Partiamo da una lunga chiacchierata con James Dewar, una delle colonne della Fidaf, la Federazione che ha per presidente un simbolo della primavera antimafia come Leoluca Orlando, un ambasciatore di primo piano per il nostro movimento in Italia e non solo, che nessun altro sport italiano può permettersi.
James ha una storia personale così particolare che merita, in pillole, di essere raccontata. E’ un imprenditore di successo, adesso. Ma è un successo che si è costruito da solo e partendo da lontano. Lombardo, ha chiari origini estere. Sudafricane per la precisione. Suo nonno sbarcò in Lombardia durante la guerra mondiale e conobbe a Monza sua nonna, colpo di fulmine, matrimonio, un figlio (il padre di James) e la decisione di restare in Italia. Durata poco, però. Il forte richiamo della sua terra spinse mister Dewar a tornarvi, da solo, perchè la moglie, proprio mentre stavano per partire, si tirò indietro. Decisione sofferta, potete immaginare. James non ha mai conosciuto suo nonno nè i cinque figli che nacquero poi da un’altra unione che il patriarca dei Dewar ebbe in Sudafrica. Una lacuna che, mi dice, vorrebbe tanto colmare. “Ma le ricerche sinora fatte sono state vane, dovrei proprio andare lì e passarci diverso tempo, forse…”.
Il papà di James era un postino. Suo figlo ha lavorato duro per arrivare ad avere una vita agiata. “Ho avuto fortuna”, minimizza. “La fortuna di essere al posto giusto nel momento giusto”. Modesto, ma non è certamente stato così per chi è dovuto partire dall’ambulantato. Oggi James commercia con i grandi mercati esteri, Cina in prima fila. E si occupa di football. “Me ne innamorai da ragazzino, giocavo quarterback dietro casa ed ero, sono, pazzo di Joe Montana e dei 49ers”.
Dewar è un consigliere federale, ma anche il presidente del comitato competizioni Ifaf Europa e il delegato regionale per la Lombardia. Dove trovi il tempo, lo sa solo lui. “Alba e notte fonda mi aiutano e poi le tecnologie, ma il tempo per il football lo faccio sempre saltare fuori”.
“Uscire dal totale dilettantismo”, è, per Dewar, la scommessa da vincere per affermare il football in Italia (come peraltro già avvenne negli anni Ottanta, epoca di straordinaria diffusione del gioco dei touchdown). “Mi spiegomeglio – aggiunge – se è solo la passione a spingere il movimento può accadere che, al primo impedimento personale, elementi fondamentali mollino tutto. Riuscire a creare un ritorno economico, anche piccolo ma concreto, eviterebbe situazioni simili. Insomma, un modello semi-dilettantistico che ripaghi almeno in qualche parte gli sforzi e il tempo dei tanti che danno vita al movimento. E che li tenga attaccatti al football. So che non sarà semplice ma bisogna lavorare in questo senso e arrivare a questo punto. Ovviamente con il coinvolgimento di sponsor e di un top manager che sappia attrarli”.
Questa, per Dewar, “è ormai una priorità, se davvero si vuol crescere”. Al secondo punto James mette le scuole. “In Lombardia abbiamo portato il football in diversi istituti ed è stato un successone. Molti genitori ci hanno raccontato dell’entusiasmo dei loro figli. Alcuni ragazzini, probabilmente, seguiranno questo loro trasporto e magari finiranno per giocare in Ifl, Lenaf, Cif9. Ecco, allargare la base si può: ogni comitato regionale dovrebbe farsene carico. E spiegare che c’è un ruolo per ogni fisico, nel football; e che è una disciplina formativa sia dal punto di vista atletico che caratteriale. Insomma, abbattere la pessima fama che, troppo semplicisticamente, viene diffusa da qualche sciagurato media”.
Bella sfida anche il punto due, non c’è che dire. Non meno del suggerimento precedente. Ne aggiungiamo un terzo: trovare unità di intenti. Che ancora, difetto italico trasbordato al football, proprio non c’è.
g.marino at repubblica.it
Twitter: @jmarino63″